Non è la bandiera politica dalla quale nasce la proposta a suscitare il dibattito in sè, ma le conseguenze che potrebbero ritorcersi ai danni del cittadino processualmente coinvolto, vittima o imputato che sia. Prima tra tutte: una inefficace e incostituzionale lungaggine nei tempi di risoluzione giudiziaria non garantista di una piena giustizia, per chi la ottiene o la subisce, considerandone la durata sproporzionata del processo.
Prima di arrivare al cuore della Riforma, cerchiamo di chiarire in primis cos’è la Prescrizione? È un istituto giuridico che disciplina i tempi entro cui lo Stato può esercitare la propria pretesa punitiva nei confronti del soggetto ritenuto responsabile di un reato. In penale la
prescrizione fa venir meno il diritto dello Stato di perseguire un reato, perché questo si estingue “decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria”: art. 157 Codice penale modificato dalla legge n. 251/2005. In pratica, trascorso un certo periodo, il reato non può più essere perseguito e chi è sospettato di averlo commesso non è più processato. Il senso della norma si rifà alla convinzione che, dopo un determinato numero di anni, non sia più nell’interesse della comunità perseguire alcuni reati oppure non ci siano più le condizioni per farlo.
Come funziona? I tempi di prescrizione si calcolano in base alle pene massime previste per i diversi reati, mentre non c’è prescrizione per i reati che prevedono come pena massima l’ergastolo. I reati puniti con l’ergastolo sono imprescrittibili mentre per alcuni particolari delitti i termini di prescrizione, calcolati ai sensi dell’articolo 157 c.p., sono raddoppiati. Oggi il raddoppio dei termini è previsto per i seguenti delitti: frode in processo penale e depistaggio aggravati, delitti colposi di danno, omicidio colposo plurimo, omicidio stradale, delitti contro l’ambiente, maltrattamenti contro familiari e conviventi, delitti di tratta di persone, di sfruttamento sessuale dei minori e alcuni delitti di violenza sessuale, oltre ai gravi delitti per i quali l’art. 51 commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale attribuisce la competenza alla procura distrettuale.
Cosa cambia? La riforma della prescrizione rientra nel Disegno di Legge anticorruzione, varato dal Governo. L’emendamento che è al centro di contese tra le due forze di maggioranza è quello presentato dai Cinque stelle con il quale si vuole disporre la sospensione della decorrenza dei termini prescrizionali dopo che è stata emessa una sentenza di primo grado, sia che si tratti di una sentenza di assoluzione che di condanna. Il rischio principale riguarda soprattutto i processi penali, caratterizzati da fasi preparatorie e prognostiche spesso lunghissime, violando i più elementari diritti e principi sanciti dalla Carta Costituzionale e dalle Dichiarazioni europea e internazionale dei diritti dell’uomo.
La prescrizione non è una scorciatoia, bensì un istituto neutro atto a garantire il rispetto del diritto fondamentale della persona di non restare a tempo indeterminato (sia come imputato sia in quanto vittima del reato) in balia del sistema giudiziario. Il cittadino non può trarre alcun vantaggio, né tantomeno giustizia, nel trovarsi di fronte a un processo che rischia di durare in eterno. Ci si potrebbe ritrovare imputati a vita e paradossalmente, potrebbe essere proprio colui che ha davanti una prospettiva di condanna a trarne il maggior beneficio. Perfino i costi sarebbero più alti senza avere in cambio una maggiore efficienza. Tutti gli organismi dell’avvocatura e le associazioni forensi sono compatte nel dire NO a una proposta di stampo esclusivamente populista che rischierebbe di mettere a repentaglio il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, sancito dall’articolo 111 della Costituzione, e una involuzione delle leggi penali.