Gaslighting – cos’è, come riconoscerlo e cosa fare

Secondo il dizionario americano Merriam Webster la parola più ricercata su internet nell’anno appena concluso, il 2022, è stata Gaslighting. Evidentemente il fenomeno è dilagante. Ma vediamo insieme di cosa si tratta.

Secondo il dizionario americano Merriam Webster la parola più ricercata su internet nell’anno appena concluso, il 2022, è stata Gaslighting. Evidentemente il fenomeno è dilagante. Ma vediamo insieme di cosa si tratta.

Il Gaslighting è una forma estremamente subdola e strisciante di violenza psicologica. Si concretizza in un rapporto tossico fra due persone nel quale una induce l’altra in una dipendenza affettiva ed emotiva utilizzando soprattutto lo strumento dell’auto-disistima. È fondamentalmente una violenza pulita e sottile, difficile da individuare, perseguire e punire. E’ una tecnica sostanzialmente lenta. La vittima infatti non realizza di vivere un vero e proprio lavaggio del cervello. In questo tipo di rapporti la vittima è il principale complice del suo carnefice. Non è una violenza propriamente di genere tuttavia le statistiche ufficiali ci dicono che sono soprattutto le donne a subirla. Solitamente il gaslighting si svolge nell’ambito di relazioni amorose, coniugali e affettive, ma può avere luogo in ogni tipo di contesto come ad esempio quello filiale, lavorativo o amicale.

Solitamente avviene tra un soggetto affetto da personalità narcisistica e un altro che invece si trova in un momento di fragilità psicologica indotta o strutturale.
Il soggetto narcisistico induce la vittima a dubitare di sé e delle proprie facoltà mentali, cognitive, intellettive, intellettuali o anche soltanto del proprio valore fino a ridurla a un soggetto completamente asservito e dipendente.

Ma qual è il profilo di una personalità narcisistica?
Solitamente si cade nell’errore, basandosi sul mito greco, che il narcisista sia semplicemente una persona innamorata perdutamente di sé stessa, vanesia o banalmente presuntuosa. Invece no. Chi soffre di disturbo narcisistico tende sempre a sovrastimare in forma anomala le proprie abilità.

Dà eccessiva importanza ai suoi successi e risultati personali, e intanto minimizza e svaluta quelli altrui. Risulta quindi spesso vanaglorioso e pretenzioso. Costruisce relazioni che gli consentono di confermare un’immagine grandiosa di sé. Ha costante bisogno di ammirazione oltre che di controllo.

Manifesta inoltre mancanza di empatia, e da ciò deriva la convinzione che le proprie esigenze siano sempre prioritarie rispetto ad ogni altra cosa. Spesso i narcisisti manifestano un bisogno quasi ossessivo ed esibizionistico di attenzione e di ammirazione da parte degli altri. Svalutano incessantemente gli altri in generale e specialmente una o più vittime in particolare. Un narcisista manifesta quasi sempre disprezzo verso gli altri e mostra spesso una malcelata invidia patologica e una marcata misantropia e sociopatia.
La fase più grave è quella del narcisismo maligno. Si tratta di una forma di psicopatia. Essa sopravviene quando il soggetto presenta, oltre alle classiche caratteristiche del narcisismo medio, anche una mancanza totale di senso di colpa, di rimorso e di rimpianto, riuscendo ad arrivare a una crudeltà mentale vera e propria.

Ma quali sono le tecniche e le dinamiche del Gaslighting?
Il narcisista patologico mette in atto il Gaslighting in modo tale da avere totale potere sulla vittima. Si tratta di una forma di manipolazione psicologica subdola e violenta. Alla vittima vengono date false informazioni, di ogni tipo e natura, in modo tale da farla dubitare di sé stessa, della sua percezione, della sua memoria e del suo equilibrio mentale o neurologico. Solitamente il gaslighter tende ad isolare la sua vittima da qualunque altro contesto e relazione, come amici, parenti e colleghi di lavoro, così da instaurare una relazione esclusiva e morbosa.

In questa dinamica malata il narcisista alterna momenti in cui offende, denigra, sminuisce e scredita la sua vittima a momenti in cui le manifesta affetto, parole gentili e attenzioni così da farla scivolare in un’altalena emozionale psicologicamente devastante.

Il narcisista è un manipolatore patologico, ha una mente calcolatrice e nei rapporti indossa sempre una maschera vivendo in un perenne stato di recitazione.

Lavora incessantemente per demolire l’autostima della vittima utilizzando le offese e suscitando un continuo senso di colpa nella controparte. Un gaslighter nega costantemente l’evidenza manifestando una gelosia subdola e ossessiva non solo di tipo amorosa bensì di tipo relazionale. Alla vittima infatti viene a poco a poco vietata con la persuasione la possibilità di qualunque altro rapporto sociale. In una prima fase il gaslighter costruisce un rapporto idilliaco per poi attuare in un secondo momento un clima conflittuale contraddistinto da silenzi ostili e dialoghi destabilizzanti portando vittima ad un profondo disorientamento. In questa prima fare la vittima non è ancora del tutto sottomessa. Proverà a cambiare il gaslighter ma fallirà. A questo punto inizia un stato confusionale della vittima che finirà per piegarsi alla volontà dell’altro e dei suoi abusi psicologici. A questo punto quasi sempre la vittima cade in una fase di angoscia e depressione. A questo punto la violenza, sia essa fisica o anche soltanto psicologica, diventa cronica. In questa fase finale la vittima vede il gaslighter come un salvatore.

Il Gaslighting si basa sulla parola. Frasi del tipo: “Secondo me hai bisogno di aiuto”, “Noi due ci amiamo alla follia”, “Sei tu che ricordi male”, “Stai inventando delle cose”,“Nessuno può capire quanto è profondo il nostro amore”, “Hai le allucinazioni”, “Ma me ne vuoi bene?”, “Non vali niente, senza di me dove vuoi andare?”, “Se mi lasci non hai cuore”, “Se non fai come ti dico non ti aiuto più”, “Nessuno ti ama come me”, “Stai bene? Dici cose strane”, “Hai dei problemi seri, solo io ti posso aiutare”, sono fra quelle più usate in questi contesti.
La tecnica psicologica ricalca quella del racket. Il gaslighter conduce infatti la sua vittima in un pozzo buio di insicurezza, sfiducia in sé stessa e paura per poi presentarsi come il suo salvatore, colui che può dare tutela, protezione, controllo, assistenza, amore e affetto.

Ma da dove deriva la parola Gaslighting?
Essa ha origine dal dramma teatrale “Gaslight” del 1938 di Hamilton. Ne sono stati tratti due film. Il più famoso è “Gaslight”, del 1944, che in Italia è stato proiettato con il titolo “Angoscia”. Racconta di ripetuti abusi psicologici di un marito nei confronti della moglie Paula.
L’uomo cerca di portare la donna alla pazzia, con diversi stratagemmi come ad esempio, l’abbassamento delle luci a gas, “gaslighting” per l’appunto, della loro casa facendole credere che fossero allucinazioni frutto della sua immaginazione.

Perché il Gaslighting è così difficile da individuare e provare davanti ad un tribunale?
Perché, come già detto, la vittima è quasi sempre complice del suo carnefice. La vittima alterna momenti in cui ha contezza e consapevolezza della sua situazione a momenti in cui sente che il narcisista che sta compiendo l’abuso psicologico è invece l’unico a cui potersi affidare per poterla proteggere.

Una condizione psicologica dai tratti surreali. È qualcosa di analogo a qualsiasi altra forma di dipendenza. Come per l’alcol, le droghe, il gioco d’azzardo e così via anche in questo caso la vittima prova un profondo trasporto e senso di affidamento a ciò di cui sente il bisogno. Solo che a differenza delle dipendenze classiche, il gaslighter è una persona in carne ed ossa, con la facoltà di agire concretamente, mistificare, ingannare e continuare ad esercitare quel potere di cui evidentemente, anche lui in forma patologica, sente disperatamente il bisogno.

Cosa fare?
La violenza psicologica e il gaslighting in sé non corrispondono a dei reati specifici. Essi però sono collegati ad alcune forme di reato come ad esempio maltrattamenti familiari, plagio, stalking, raggiro, minaccia e violenza privata, danno biologico.

Potresti cominciare a sentire la necessità di registrare le conversazioni, di scattare fotografie come prova di non essersi inventato fatti o accadimenti. Questi sono dei chiari segnali di allarme. Se hai il dubbio di essere caduto in una dinamica di Gaslighting non esitare e rivolgiti immediatamente ad un avvocato e con lui si valuterà il coinvolgimento di una consulenza psicologica o comunque l’intervento dei servizi sociali del tuo Comune.

Ad ogni modo per difendersi e ricostruire la propria identità potrebbe servire del tempo. Con il tuo avvocato sarà poi opportuno valutare come procedere così che la giustizia possa fare il suo corso.

Risorse per approfondire
Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Gaslighting

Articolo su Repubblica (a pagamento)
https://www.repubblica.it/cronaca/2022/12/31/news/gashlighting_parola_dellanno_ecco_come_funziona_la_violenza_psicologica_piu_difficile_da_scoprire-381388226/

Corto “Io vivo per te” – di Rita Raucci (autrice e interprete)
https://youtu.be/WFjSopc-NcI

Assistenza sulla reputazione on line

Di certo le nostre azioni devono essere guidate dalla nostra morale e dal nostro buon senso e non da ciò che si dice di noi, tuttavia tutelare la propria reputazione è un diritto fondamentale perché ognuno di noi è anche ciò che di sé viene proiettato e percepito dalla società che lo circonda.

Internet, come tutte le grandi innovazioni, è entrato nelle nostre vite e le ha cambiate in tanti modi e in tanti ambiti. Uno di questi è la nostra presenza on line. Ognuno di noi è presente in qualche modo on line e proietta la propria immagine sul web.

Quasi tutti siamo presenti su pagine web, motori di ricerca, su diversi siti, su molteplici social network. E se non siamo proprio noi in prima persona è comunque qualcosa a noi direttamente collegato come un esercizio commerciale, uno studio professionale, un’azienda, un’attività o un’organizzazione riconducibile alla nostra persona.

Di conseguenza su internet si è trasferita anche una cosa che prima era solo nel passaparola: la reputazione. Su internet la reputazione è scritta e, come dicevano i latini, verba volant scripta manent. Il giudizio, l’opinione, il parere, la stima, la valutazione e l’apprezzamento che il mondo ha di noi si svolgono principalmente su internet.

Fin quando le cose vanno bene nessun problema si pone. Ma cosa accade quando sul web la nostra reputazione è più o meno compromessa con giudizi, recensioni, articoli, news, notizie, informazioni?

Come comportarsi, ad esempio, quando contro di noi viene aperto un procedimento giudiziario, dal quale magari siamo stati poi assolti? In questi casi infatti gli articoli inerenti le accuse sono sempre in cima ai risultati e in un numero che sovrasta i contenuti in cui invece si divulga la nostra assoluzione o addirittura l’estraneità ai fatti.

Cosa fare quando dei concorrenti sleali o degli odiatori compulsivi si adoperano per procurarci false recensioni negative così da danneggiarci? O quando una notizia falsa che riguarda in qualche modo noi circola indisturbata on line?

Per non parlare del malanno del processo in Italia: il processo mediatico. Quel processo cioè che non si svolge nelle aule di tribunale ma su tutti i mezzi di comunicazione. Ci riferiamo a quelle notizie che esplodono prima dell’accertamento dei fatti e delle indagini preliminari. Nel frattempo, prima che la giustizia stabilisca se qualcuno è innocente o colpevole, su internet, sui giornali, in tv e in radio quella persona è già stata dichiarata colpevole.

In tutti questi casi bisogna agire, e anche al più presto.

Il nostro studio legale MGS, in collaborazione con l’agenzia informatica Wics, fornisce un servizio di consulenza per tutti i casi in cui c’è bisogno di avvalersi del diritto di replica, del diritto alla cancellazione di contenuti falsi o tendenziosi, del diritto all’oblio, e in generale del diritto di tutela della propria reputazione on line.

Se hai bisogno chiama, sapremo bene come darti assistenza.

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Il carcere è un fallimento

Il carcere è l’ultima spiaggia di un sistema di civiltà. Quando metti una persona in carcere è perché hai appena fallito. Vuol dire che c’è stato un reato e qualcuno ha subìto un danno, un torto, un’ingiustizia. Immediatamente dopo questo fallimento resta il carcere, che però non darà indietro né morti ammazzati, né danni permanenti, né danni economici, né biologici, né psicologici, né di immagine eccetera. No, il carcere non risarcisce. Se ci riesce allora in quel caso non è giustizia ma è solo vendetta, che è un’altra cosa.
Tutto questo è ben spiegato nella nostra Costituzione. Il carcere non è una risposta, ma solo un ripiego. Se la deterrenza funzionasse allora là dove c’è la pena di morte il crimine dovrebbe cessare del tutto, e sappiamo invece che non è così. Il carcere non funziona, è un fallimento, il carcere è ammissione di incapacità.

Ciò nonostante la politica continua imperterrita a usare il carcere come misura di contrasto ai reati. Basta un’emergenza, un allarme sociale, un banale fatto di cronaca che scattano decreti, misure speciali, inasprimenti delle pene. Qualche esempio: immigrati, terrorismo, reati sessuali, corruzione.

E la politica lo fa strumentalmente, alla ricerca cieca del consenso, per dare biada all’emotività rabbiosa, alla ferocia delle masse: sbattere in galera e buttare la chiave. No, non funziona.

C’è sempre più un panpenalismo esasperato e malato. C’è sempre più un’ossessione pervasiva della “certezza della pena”..

Oramai si tende a spostare sempre più reati nel penale e ad adottare sempre meno pene e percorsi alternativi. Intanto le carceri scoppiano di detenuti e i suicidi diventano un fenomeno su cui si tace. E invece quando un essere umano si ammazza è un fatto grave, che sia un carcerato o meno. Forse è ancora più grave solo quando è un carcerato per errore, e credete a un’avvocata… ce ne sono tanti.

Ciò che viene messo sotto attacco è lo Stato Liberale che ci tutela e del quale noi occidentali siamo tutti figli.

Non chiamatela legge anti-rave party

Ogni parlamento eletto, nei limiti della costituzione, fa le leggi che gli pare. Però, vi prego, questa non chiamatela legge sui Rave Party. È una bugia, un’invenzione giornalistica, una volgare mistificazione.

Per perseguire e punire i festini musicali abusivi su suolo pubblico o privato esiste già una legislazione vigente e soprattutto proporzionata al reato, è l’art. 633 del codice penale.
Questa di fronte alla quale ci troviamo è invece una legge che serve a comprimere il diritto di riunione.
Infatti da nessuna parte nel decreto si fa riferimento al carattere ludico ricreativo dell’evento da perseguire.
Cioè capiamoci bene: se domani anche solo 50 cittadini si radunano in un parco per protestare e fare una pubblica assemblea su un argomento come il Caro Bollette o contro l’intervento in guerra dell’Italia, o contro le tasse questi cittadini rischiano 6 anni di galera. Esattamente cioè come funziona nella Russia di Putin.

La nostra Costituzione con l’art. 17 garantisce la libertà di riunione del cittadino. Riunirsi infatti non prevede autorizzazione, ma solo preavviso all’autorità competente che può vietarlo solo ed esclusivamente “per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

In questa legge invece si vanno a dare 6 anni di carcere per un raduno “quando dallo stesso può derivare un pericolo”. Avete capito? “Può”. Cioè il pericolo non è comprovato, concreto, reale bensì ”può”, a discrezione di un funzionario di polizia. Sei anni di galera per un ipotetico pericolo immaginato da un poliziotto.

Questa legge, che invece di seguire un normale iter parlamentare è stata introdotta con la scorciatoia del decreto legge, rappresenta l’ingresso in uno Stato di Polizia. Altro che bollette, famiglia e sviluppo. Le priorità di questo governo cominciano ad essere ben chiare a tutti già dal primo decreto legge.

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L’interruzione volontaria di gravidanza è un diritto.

È il 1975. La Corte Costituzionale emette una sentenza storica: una persona che deve ancora nascere (un feto) non ha gli stessi diritti di chi invece persona già lo è (una donna). Su questo principio si regge la legge sull’interruzione volontaria di gravidanza che porta il numero 194. Gasparri, storico esponente della destra, presenta in questi giorni una proposta nel senso opposto: parificare i diritti. Questo porterebbe ad una illegittimità evidente di quella legge. Se tutto ciò passa le donne non potranno più interrompere la propria gravidanza. I numeri in parlamento ci sono.

Le donne ricominceranno ad abortire clandestinamente con tutto ciò che questo comporta. Ora il compito è difficile: aprire una battaglia forte per non ritornare a una condizione che le nuove generazioni non hanno mai vissuto. La storia insegna: lottare per un diritto che manca è più semplice che per uno da mantenere. Questo perché un diritto che manca brucia sulla pelle, mentre uno che già c’è lo si dà per scontato. È inutile prendere ad esempio casi limite e disperati, benché assolutamente validi e da tutelare, come le gravidanze da stupro, da incesto, a rischio, che coinvolgono feti malformati. Fortunatamente quelle gravidanze rappresentano un dato marginale, di carattere eccezionale. Il dato è che abolire la legge 194 riguarda in maniera diretta tutte le donne in età fertile e solo dopo tutti coloro che non vogliono sprofondare nel medioevo. La domanda ora va fatta alle nuove generazioni, in particolar modo alle ragazze: volete voi perdere questo diritto? Volete voi tornare a prima del 1975? Sapete, al di là di qualche meme che gira sui social dove si mostrano feti morti, cosa significa per voi l’obbligo e l’imposizione per legge di portare a termine “per forza” una vostra possibile gravidanza? Con una generazione cresciuta con Reality, Talent Show e Social Network, invece che con libri che parlano di autodeterminazione ed emancipazione, sicuramente il gioco per Gasparri è molto facile. Chi ha a cuore la nostra civiltà occidentale, basata sui diritti, deve parlare alle donne in età fertile: a loro sta per essere tolto un diritto, sono soprattutto loro a dover lottare.

Questa legge elettorale va immediatamente cambiata

Domenica sono entrata in cabina. Ho aperto la scheda e ho dovuto fare i conti con questa vergognosa legge elettorale. Anche una come me che crede nella democrazia, nella partecipazione, che trova esecrabile l’astensione come soluzione alla cattiva politica, anche una come me con tutta questa buona disposizione si è sentita democraticamente umiliata.
Sì, questa legge elettorale umilia il cittadino. Mi sono trovata davanti una lista di nomi precompilata da non so chi. L’ordine di elezione è stata scelta da un partito. Io non sono iscritta a nessun partito e non è un obbligo iscriversi. Eppure qualcuno ha deciso per me, perché questa legge così prescrive.
Io come elettrice non posso indicare il nome. Come se fossi una minorata, un’incapace.

Una legge elettorale il cui sostrato è quello per il quale ci sono delle persone, evidentemente più capaci di me, che devono decidere al posto mio l’ordine con cui devono essere eletti i candidati.
E se io volevo indicare l’ultimo in lista? Non si può.
Un’oligarchia, una cerchia di esseri superiori, presumo, che decidono per me chi scegliere e mandare in parlamento. L’astensione che abbiamo registrato in queste elezioni e la disaffezione per la politica sono anche e soprattutto figlie di questa legge elettorale. Senza una buona legge elettorale non esiste nessuna buona politica. Questo perché i meccanismi legali costruiscono la cultura politica di un Paese e noi avvocati lo sappiamo bene. Questa legge elettorale è un insulto alla democrazia. Nessuno può decidere al mio posto chi delegare a rappresentarmi. Nessun gotha può ergersi a limitare la mia indicazione democratica.

Qualunque partito serio, prima di ogni cosa, dovrebbe mettere questa faccenda al primo posto. La libertà di scegliere e delegare viene prima di qualunque altra questione politica altrimenti tutto ciò che ne consegue sarà inevitabilmente viziato e politicamente tossico. Serve una grande spinta popolare unitaria per cambiare questa legge elettorale, e solo dopo potremo ritornare a dividerci legittimamente sulle scelte politiche.

Candidarsi ovunque è inaccettabile

Scorro mestamente in questi giorni le liste di candidati per ogni partito. Quasi dappertutto i capolista sono i leader nazionali che sono praticamente presenti ovunque.

La prima cosa che mi viene da pensare è: ma quanto devono sentirsi deboli questi leaders che hanno bisogno di candidarsi in quasi tutte le circoscrizioni pur di assicurarsi l’elezione?
In secondo luogo questa consuetudine confligge con la rappresentatività territoriale dei candidati. Perché il capolista della Campania non è un campano, quello della Calabria non è un calabrese, quello del Friuli non è un friulano?
Cosa ne sa un piemontese della Basilicata o un toscano della Puglia, un lombardo della Sicilia? Perché adottano alla luce del sole questi trucchetti senza vergogna, senza ritegno?

La rappresentanza territoriale in questo modo viene completamente elusa, raggirata, disattesa.

Per non parlare del mercato delle vacche che si scatena quando i leader devono scegliere il collegio dove essere eletti e quindi far scattare o meno i candidati sotto di loro. Uno stucchevole Sūq in piena regola.

A questo punto meglio fare un listone nazionale di 500 candidati alla camera e 300 senatori per ogni partito e poi a seconda di quanti voti prendono le liste scattano i seggi. Sarebbe almeno più onesto intellettualmente nei confronti degli elettori.
Che poi anche questa discrezionalità di delega scippata agli elettori dai partiti ha un sapore di incostituzionalità nauseabondo.
Ma perché ogni leader di ogni forza politica non si candida solo là dove è radicato?
Come si direbbe qui da noi a meridione: ma una casa (politica ed elettorale) la tenete?
Politicamente ed elettoralmente sembrate tutti degli scappati di casa, altro che autorevoli leader di partito.

Chi diffonde è complice

Pubblicare il video di una violenza è VIOLENZA.

Dare in pasto ai social la vittima significa procurare dolore, significa violare i diritti della persona lesa.

Strumentalizzare ai fini elettorali il dolore è l’atto più vile che un politico può fare.

E se quella donna vittima di violenza fossi tu?

@giorgiameloni quello che hai messo in atto è il gesto più insulso che un uomo o una donna può infliggere ad una vittima; cancella subito il video pubblicato e chiedi pubblicamente scusa!

Non guardate il video e non diffondetelo!
La violenza si combatte ogni giorno in Tribunale, in società , a scuola , in famiglia. Pensateci bene prima di mettere la nostra Italia in mano a gente che non ha a cuore il bene comune e i diritti civili di tutti ( nessuno escluso).

@instagram @instagramforbusiness il profilo di @giorgiameloni va bannato subito.

La discriminazione ha tanti volti

Si parla tanto di discriminazioni. Si può discriminare per razza, orientamento sessuale, religione, etnia. Eppure,ad attenta analisi, le discriminazioni hanno una matrice comune. Se hai un colore della pelle differente, se sei gay, se appartieni ad un’altra religione diversa da quella dominante ma, attenzione, al contempo hai un conto in banca considerevole, allora è molto difficile che subirai una discriminazione.

Se sei uno sceicco che gira in limousine non sarai mai considerato un pericolo per le strade del tuo paese solo perché sei islamico.

Se sei gay ma di lavoro fai lo stilista di grido e la tua faccia è sui giornali allora sarai stimato e ammirato.
Se hai la pelle nera ma sei un rapper famoso americano è veramente difficile che subirai una discriminazione per il tuo colore.
Questa considerazione proviene dall’esperienza quotidiana che ognuno di noi, qualunque sia la nostra identità politica o il quadro di valori di riferimento, riconosce come concreta e veritiera.
Quindi la conclusione è solo una: la classe sociale, il reddito, la condizione economica sono gli unici elementi reali di discriminazione.
Non a caso sui social la stragrande maggioranza dei contenuti che la gente pubblica ha una funzione ben precisa: NON APPARIRE POVERI!
Anche i personaggi pubblici, quelli in vista, non hanno il terrore di apparire disonesti, corrotti, scorretti, sleali, cafoni, stupidi. No, il terrore generalizzato è invece quello di passare per poveri.
E per apparire ricchi si è pronti a tutto. Viviamo in una società che quasi mai premia economicamente il merito, il valore, la competenza. Ne deriva che se sei povero difficilmente dipende da te. Questa discriminazione sulla condizione reddituale sta rendendo tossica la nostra società, ci sta imbarbarendo. Ci sta rendendo fasulli nel nostro essere comunità. Dovremmo ricominciare a guardare alle persone per quello che sono e non per quello che sembrano e soprattutto al di là delle condizioni sociali ed economiche che le contraddistinguono, perché gli uomini e le donne quasi sempre sono molto diversi dalla loro dichiarazione dei redditi.

La situazione nelle carceri è insostenibile

5 suicidi negli ultimi 15 giorni .
45 da inizio anno.

Un dramma, quello delle carceri italiane che non vede eguali nella nostra storia.
Un dramma che richiede atti urgenti.
Una situazione che non si può ignorare perché contraria ai principi morali, costituzionale e di espiazione della pena intesa nella sua funzione rieducativa e riabilitativa .

I numeri sono persone.

Donatella Hogo, 27enne detenuta presso il carcere veronese di Montorio per reati di lieve entità, ha deciso che la morte era l’unica salvezza all’inferno del carcere. Era in attesa che venisse predisposta una misura alternativa. Ma non ha retto …

Questa situazione va messa al centro della campagna elettorale con uno spirito costruttivo in linea con i principi cardini del nostro ordinamento.

Vi prego di non dare credito agli urlatori che inneggiano alla pena come VENDETTA SOCIALE.

È lì che si annida il fallimento liberale della società