Un famoso proverbio dice “tra moglie e marito non mettere il dito”, ma se i coniugi diventano ex? Allora il legislatore ci mette a giusto titolo lo “zampino”! E la legge parla chiaro: NON VERSARE L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO È REATO E SI RISCHIANO MULTE E, PERSINO, IL CARCERE. Fino ad oggi commetteva reato solo chi faceva mancare ai figli i beni considerati strettamente di prima necessità (cibo, abiti e casa) ma non chi, ad esempio, a fronte di un assegno di mantenimento concordato decideva arbitrariamente di versarne uno di importo minore. I tempi sono, ormai, cambiati e le inosservanze aggravate dall’intenzionalità non ammettono più né superficialità né tantomeno furbizie. Sorge, a questo punto, una lecita e legittima domanda: In che modo e in quali termini e condizioni la parte lesa può rivendicare il diritto all’assegnazione e al versamento del mantenimento? Analizziamo più da vicino l’assunto sul quale si base la nuova disposizione normativa.
Il 6 aprile 2018 è ufficialmente entrato in vigore l’articolo 570 bis c.p. che si fonda sull’attuazione dei principi e sull’ampliamento degli effetti penali in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio sanzionando, nella fattispecie, le condotte giudicate a loro volta lesive con il pagamento di multe fino a 1.032 euro e, nei casi di recidiva, con il carcere fino ad anno di reclusione. Le suddette pene si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli. Il matrimonio è un negozio giuridico nel quale i coniugi acquistano gli stessi diritti e i medesimi doveri e dal quale ne scaturisce, al consolidamento legale, l’obbligo mutuo e reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale e alla collaborazione nell’interesse della famiglia. Accorpando alcuni articoli del codice civile possiamo affermare che: laddove dovesse venir meno il legame affettivo, con il conseguente scioglimento del vincolo matrimoniale, continuerebbero, comunque, a sussistere l’impegno e l’obbligo all’assistenza materiale “stipulati” durante la legittima unione civile. In caso di separazione, consensuale o giudiziale, infatti, il coniuge economicamente più forte è obbligato a provvedere al congruo mantenimento del coniuge non autosufficiente, cioè che non dispone dei mezzi economici adeguati per far fronte al proprio sostentamento, garantendogli il diritto ad una vita dignitosa. In mancanza di un tacito accordo tra i coniugi, il giudice sarà chiamato a valutare le condizioni reddituali e ad appurare l’oggettiva e reale diseguaglianza economica che determinerà l’idoneità e il quantum dell’assegno da conferire al beneficiario in condizione di difficoltà. Una volta stabilito che il versamento del contributo al mantenimento è una obbligazione, sia durante la separazione che dopo la cessazione degli effetti civili del matrimonio, l’ordinamento giuridico fornisce all’avente diritto una serie di efficaci strumenti coercitivi da utilizzare nei confronti del coniuge che si sottrae, per sua volontà, agli obblighi stabiliti in opportuna sede. L’inadempimento, ossia la totale o parziale inosservanza ed esecuzione, per dolo, di quanto deliberato per legge, può avere eco e rilevanza tanto in sede civile che in sede penale ricorrendo alle neo-normative disciplinate dall’art. 570 bis del c.p. che garantiscono ai beneficiari, ex coniuge o figli, la tutela e la garanzia costante e periodica della ricezione delle somme pattuite e necessarie al loro sostentamento primario evitando, così, che il mancato adempimento possa inficiare e compromettere le esigenze vitali del coniuge e della sua prole. Tirando le somme l’assegno di mantenimento spetta di diritto al coniuge definito “economicamente debole” sia in fase di separazione (vale a dire che i coniugi non hanno ancora posto fine al loro rapporto matrimoniale, ma ne sospendono momentaneamente gli effetti in attesa di una riconciliazione o di un provvedimento definitivo di divorzio, quindi l’unione è ancora legalmente in essere), sia dopo il divorzio (vale a dire che decadono gli effetti civili contratti durante l’unione e il vincolo matrimoniale viene, quindi, giuridicamente meno), sia in caso di annullamento (vale a dire nel caso in cui un matrimonio non è considerato valido e, quindi, ritenuto nullo, come mai esistito). La norma in questione parla esplicitamente della figura del coniuge escludendo dal sopracitato beneficio di tutela legale coloro che vivono situazioni di convivenza more uxurio e le coppie di fatto, cioè “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”, con il personale auspicio che i legislatori parifichino e difendano, quanto prima, i diritti del convivente alla stregua di quelli del coniuge soppesando l’ago della bilancia in una condizione di perfetto equilibrio.
Come evidenziato, si tratta di una legge “neofita” e come ogni normativa di recente attuazione presenta, a primo acchito, i suoi cavilli e le sue insidie di intendimento dipanabili nelle opportune sedi. Lo studio legale MGS sfrutta le consolidate competenze acquisite nel suddetto ambito di pertinenza penale per fornire una esaustiva consulenza professionale, una mirata assistenza specializzata e gli strumenti legali più efficaci per affiancare e sostenere la causa dell’assistito nell’iter legale.