#UNO STUPRO NON VA MAI GIUSTIFICATO

L’espressione “violenza contro le donne” significa ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che possa avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata (Art. 1 della Dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne).

Gli Stati dovrebbero perseguire con tutti i mezzi appropriati e senza indugio una politica di eliminazione della violenza contro le donne sviluppando approcci preventivi e tutte quelle misure di natura legale, politica, amministrativa e culturale atte a promuovere la protezione delle donne contro ogni forma di violenza, e ad assicurare che non avvenga la doppia vittimizzazione delle donne a causa di leggi, pratiche attuative o altri interventi non sensibili al genere (Art. 4 della dichiarazione ONU sull’eliminazione della violenza contro le donne). Dalla risoluzione del 20 dicembre 1993 delle Nazioni Unite il fenomeno della violenza contro le donne rappresenta ancora un radicato problema sociale e culturale, soggetto di interesse e oggetto di cambiamenti nel nostro diritto italiano solo in anni recenti e dopo un lungo e tortuoso iter parlamentare durato circa 20 anni.

Ci basti ricordare che solo nel 1996 la legge contro la violenza sessuale classificò questo reato come crimine contro la persona, e non più “delitto contro

la moralità pubblica e il buon costume” così come definito dal codice penale Rocco.

In questi giorni stampa, opinione pubblica e politica non hanno risparmiato fiato, inchiostro e indignazione sulla sentenza (32462/18 della terza sezione penale) pronunciata dalla Cassazione sul caso di stupro da parte di due 50enni ai danni di una giovane donna in stato di ubriachezza. I fatti risalgano al 2009. Due uomini escono a cena con una donna e dopo aver trascorso la serata in un ristorante la convincono a seguirli in albergo, lì abusano di lei. La vittima si reca al pronto soccorso e sporge denuncia. Nel 2011 la sentenza di primo grado assolve i carnefici, perché il Tribunale di Brescia reputa confusa e poco attendibile la dichiarazione rilasciata dalla donna. Nel 2012 la Corte d’appello ribalta il giudizio evidenziando nel referto medico segni di violenza. Secondo la terza sezione penale della Cassazione, però, il processo va rivisto perché la donna ha assunto alcol volontariamente fino a “non riuscire ad autodeterminarsi”. I supremi giudici hanno confermato sine dubio la violenza sessuale di gruppo con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica. Anche se la vittima ha assunto sostanze alcoliche di sua spontanea volontà, visto che in uno stato di infermità psichica, a prescindere da chi l’abbia determinato, mancano le condizioni per prestare un valido consenso, l’alterazione indotta dall’alcol e la conseguente limitazione delle capacità cognitive è stata evidentemente sfruttata dai due stupratori. Tuttavia l’assunzione volontaria di alcol esclude la sussistenza dell’aggravante e il relativo aumento di pena, poiché deve essere il soggetto attivo del reato ad usare l’alcol per la violenza somministrandola alla vittima. Senza il riconoscimento dell’aggravante, ossia l’induzione coatta nei confronti della vittima a bere, la condanna viene rinviata in appello puntando ad ottenere un ribasso della pena. Lo stupro non è meno grave solo perché la donna è giudicata “deliberatamente” ubriaca, nè tantomeno può costituire un’attenuante a un gesto così turpe e riprovevole. La verità è che la Corte e i suoi Ermellini hanno semplicemente applicato le leggi, quelle previste, riconosciute e messe a disposizione dal nostro codice penale: art. 609 bis del c.p. prevede la pena della reclusione da 5 a 10 anni per chi compie il reato (chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona); l’art. 609-ter stabilisce le aggravanti al ricorrere delle quali la pena prevista per la violenza sessuale varia dai 6 ai 12 anni (1- nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni quattordici; 2- con l’uso di armi o di sostanze alcoliche, narcotiche o stupefacenti o di altri strumenti o sostanze gravemente lesivi della salute della persona offesa; 3- da persona travisata o che simuli la qualità di pubblico ufficiale o di incaricati di pubblico servizio; 4- su persona comunque sottoposta a limitazioni della libertà personale; 5- nei confronti di persona che non ha compiuto gli anni sedici della quale, il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, il tutore).

In conclusione se una donna, nel libero esercizio della sua volontà assume consapevolmente sostanze alcoliche deve ritenersi personalmente responsabile delle proprie azioni e nessuno può essere imputato di averla indotta ad ubriacarsi. Lo stupro è riconosciuto come reato, ma ciò che dovrebbe costituire un’aggravante, ossia lo sfruttamento di uno stato di inferiorità, si trasforma in responsabilità che sembra causata dalla vittima stessa. Ad indignare non deve essere tanto la sentenza in se, quanto il sistema di leggi vigenti che l’ha indotta ad essere pronunciata. NO significa NO, e non devono esistere sconti per chi decide per te e di te!

In quanto donna e difensore della giustizia, il mio Studio Legale MGS combatte in prima linea per difendere i diritti delle donne contro ogni forma di violenza -fisica, sessuale e psicologica, in famiglia e nella comunità – commessa ai loro danni e per tutelare il loro diritto alla vita, all’uguaglianza, alla sicurezza e alla libertà.

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