PER CHI ASSUME RACCOMANDATI SCATTA IL REATO DI CONCUSSIONE

In un Paese come la nostra Bella Italia in cui, secondo un’indagine condotta dall’ISTAT, il metodo più diffuso per la ricerca del lavoro è e resta quello della raccomandazione, o altresì comunemente detta “segnalazione” per ingentilirne la forma (ma non la sostanza), una sentenza come la n. 15792 del 10 aprile 2018 riapre il dibattito su una delle più antiche pratiche sociali di mal costume “all’italiana”. E lo facciamo pretestuosamente prendendo come capro espiatorio il caso di illecito penale commesso da parte di un Pubblico Ufficiale. 

Il Sindaco di un Comune, infatti, si è visto condannare in secondo grado dalla Corte di Cassazione per aver costretto coercitivamente l’amministratore unico di una casa di cura ad alcune assunzioni “clientelari” minacciando, in caso contrario, l’estromissione dalla struttura e il mancato rinnovo del contratto. L’abuso di posizione è lo strumento attraverso il quale si è innescato il processo di “richiesta” di assunzione nei confronti dei due “raccomandati”, ma paradossalmente è proprio in virtù della posizione pubblica occupata dal “raccomandante” che scatta il reato di concussione.

A disciplinare il delitto di CONCUSSIONE è l’articolo 317 c.p., il quale punisce con la reclusione da sei a dodici anni il pubblico ufficiale (per legge, colui che esercita una funzione pubblica legislativa, giudiziaria o amministrativa) che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità. Il reato di concussione si caratterizza, dal punto di vista oggettivo, da un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua mediante violenza o minaccia, esplicita o implicita, di un danno “contra ius” da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio indebito per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di una utilità indebita, e si distingue dal delitto di INDUZIONE INDEBITA la cui condotta si configura come persuasione, suggestione, inganno, pressione morale con più tenue valore condizionante della libertà di autodeterminazione del destinatario il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta di presentazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un tornaconto personale, che giustifica la previsione di una sanzione a suo carico.

Facendo ricorso ai principi dell’assunto giudiziale sopracitato, i giudici hanno confermato la sussunzione del fatto nell’alveo dell’art. 317 c.p., valorizzando la natura delle minacce, le ricadute coercitive sulla vittima e l’assenza di profili di indebito vantaggio per la stessa. 

A questo punto ci sorge una lecita e legittima domanda. Chi assume un raccomandato è libero di farlo oppure è contro legge? Regge ancora la tesi del proverbio popolare “Senza Santi non si va in Paradiso”? Dipende dal settore occupazionale di riferimento e dal ruolo rivestito dal “raccomandante” in questione, e vediamo il perché. La raccomandazione, che da dizionario è definita come l’appellarsi alla protezione e alla benevolenza di alcuno a proprio vantaggio, è di norma vietata nei posti pubblici e consentita, a più larghe vedute, in quelli privati. Il datore di lavoro di un’impresa privata è libero di scegliere i suoi dipendenti secondo un proprio insindacabile criterio valutativo, a patto che questa libertà decisionale non sia lesiva dei diritti fondamentali degli altri lavoratori in azienda, ad esempio non può licenziare o trasferire, in assenza di valide motivazioni, una persona solo per assumerne un’altra da lui “privilegiata”. In questo caso si tratterebbe di un atteggiamento illegittimo e discriminatorio e, pertanto, perseguibile dalla legge. Sempre nel privato, invece, non è considerato reato, pur trattandosi di un patto turpe e ignobile, pagare per ottenere una raccomandazione per un posto di lavoro; tuttavia l’eventuale inadempienza di tale accordo, con la mancata assunzione della parte coinvolta, non prevede alcuna restituzione del denaro “donato” a mò di do ut des, in quanto il posto di lavoro non può essere inteso come merce di scambio. La situazione è ben diversa se spostiamo l’ago della bilancia dal privato al pubblico. Il concorso rappresenta la porta principale di accesso all’impiego pubblico, così come stabilito dalle regole della Costituzione. Se si assume in assenza di un bando o se, nonostante il bando in essere, si eseguono manovre artefatte e artificiose pur di far passare il raccomandato di turno, si commette reato. E commette reato il pubblico ufficiale quando la richiesta di raccomandazione, rivolta nei confronti di un altro dipendente pubblico o di un privato, si trasforma in abuso di ufficio associato a comportamenti coattivi sull’operato altrui e, pertanto, punibile penalmente di concussione con la reclusione da 6 a 12 anni.

Lo Studio Legale MGS, forte delle esperienze maturate sul campo e delle competenze in materia comprovate da un Master in Management della Pubblica Amministrazione, è pronto a fornire informazioni e supporti legali nel campo penalistico legato ai reati di concussione nel settore specifico della Pubblica Amministrazione.

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