Le sentenze preconfezionate sono la negazione totale dello Stato di Diritto.

Ciò che è accaduto il 19 maggio 2021 presso la Corte d’Appello di Napoli è di una gravità inaudita. Lo è per i cittadini, per l’avvocatura, per la magistratura e per lo Stato e la sua credibilità. Fino ad ora ho ritenuto di attendere prima di scrivere questa riflessione. Ho atteso per esprimere il mio pensiero perché ho rispetto degli organi e delle organizzazioni alle quali appartengo. Ora che le camere penali del distretto di Corte d’Appello si sono espresse, è doveroso che un avvocato come me dica cosa pensa della gravissima vicenda che si è consumata.

Il fatto in sintesi: l’avvocato Gerardo Mariano Rocco di Torrepadula chiede al cancelliere, prima dell’udienza fissata dinanzi al collegio della quarta sezione della Corte d’Appello di Napoli, di prendere visione del fascicolo processuale. All’interno del fascicolo l’avvocato rinviene un sotto-fascicolo dove giace la sentenza già scritta. Sì, avete letto bene. Insomma negando il contraddittorio e senza ascoltare le ragioni degli imputati il relatore aveva redatto la sentenza. 

Ecco, questa non è solo la mortificazione più totale della mia professione, questa è la negazione dello Stato di Diritto. Questa vicenda ci racconta lo strapotere di un pezzo di Stato che nel disprezzo più totale di tutto ciò su cui si basa il Diritto decide in anticipo come andrà un processo.

Questo accadimento uccide la fiducia che intercorre fra tutti gli attori di una democrazia: cittadini, avvocati, magistrati e Stato. Ciò avviene perché, evidentemente, un pezzo malato della magistratura ritiene di essere al di sopra del proprio ruolo che è quello di ascoltare, apprendere, capire, sentire, riflettere studiare e poi, soltanto dopo, prendere una decisione che andrà ad incidere, giusta o sbagliata che sia, sulla vita concreta di persone in carne e ossa.

La verità è che sono schifata. La vicenda è di quelle che ti fa passare la voglia di continuare a fare l’avvocato, che ti fa temere che l’incubo peggiore di un avvocato e dei suoi assistiti diventi realtà e cioè che è tutto inutile perché tutto è già stato deciso e addirittura scritto nero su bianco. La domanda che poi si profila è ancora più inquietante: in base a quale criteri si era arrivati alla sentenza? Cosa li ha guidati nel determinare la colpevolezza? Come hanno fatto a farsi un’idea? Qual è lo strumento giuridico usato? Di certo non il codice di procedura penale, quello su cui abbiamo buttato anni di studi, anni di lavoro né tantomeno quel Diritto che ci rende una democrazia migliore di tante altre. È grazie al Diritto che siamo più progrediti di altre nazioni dove invece vige il sopruso, la totale discrezionalità senza limiti, il preconcetto, la prevaricazione e troppo spesso la corruzione.

Ecco, sarò chiara ed esplicita: io in uno Stato così non ci voglio vivere, e non è questo lo Stato che voglio lasciare ai miei figli e ai miei nipoti. Io mi batterò sempre affinché nella mia Italia, culla mondiale del Diritto, ogni cittadino abbia un processo equo, giusto, basato sul contraddittorio delle parti e affinché, solo dopo il dibattimento, venga scritta qualunque sentenza, anche la più scontata.

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