
L’Hate Speech si può tradurre in italiano con “Parole d’odio” o anche “Violenza verbale”. Chiunque usi un social network come ad esempio Facebook o Instagram si è sicuramente imbattuto in qualche post o qualche commento dov’era presente una violenza verbale verso la propria persona o verso altri utenti.
Solitamente si tratta di ingiurie, calunnie, offese, denigrazioni, parolacce ma anche inviti al suicidio o auguri di malattie o morte. È una pratica diffusissima che, oltre a ledere la dignità, il decoro e l’onore di una persona può avere anche serie conseguenze di tipo psicologico. Subire violenza infatti, sia essa anche solo verbale, è un evento comunque traumatico. Come si può agire?
Va detto che questi tipi di reati sono di tipo penale. I tratti distintivi della condotta si caratterizzano nella violenza delle espressioni verbali, (ed anche non verbali), dirette verso altri individui variamente aggrediti.
Lo scenario è profondamente mutato con la massiva diffusione di internet ed in particolare dei Social Media, quali Facebook, Twitter, Youtube. In questo nuovo ambiente hanno trovato diffusione i computer crimes, vale a dire condotte penalmente rilevanti anche off-line, ma che nella rete presentano caratteristiche peculiari. Si tratta ad esempio della diffamazione a mezzo stampa, (alla quale i social sono equiparati, vedi Cass. Penale n. 19659/2019 e Cass. Penale 30664/2008), del cyberstalking, del cyberbullismo, (Legge 71/2017 – vedi LINK) e i delitti contro l’eguaglianza, (art. 604 bis e 604 ter c.p.) .
Rispetto alle condotte tradizionali, quelle perpetrate on-line si contraddistinguono per alcune caratteristiche specifiche:
- UN’ALTERATA PERCEZIONE DELLA CONDOTTA, determinata dall’utilizzo dello strumento elettronico. La mediazione di un computer o di uno smartphone incide sulla piena consapevolezza della gravità criminale della propria azione e delle sue conseguenze (così: G. Neri in Criminologia e reati informatici, Napoli 2014);
- L’ANONIMATO, apparentemente garantito dall’utilizzo di pseudonimi o nomi o profili falsi. L’haters (in italiano: l’odiatore) si sente maggiormente legittimato ad esprimere odio nell’errata convinzione di non poter essere identificato. Non è proprio così. Si pensi che in Francia Facebook ha acconsentito a fornire ai Tribunali i dati sui sospettati di discorsi di incitamento all’odio.
- LA VELOCITÀ E L’IMMEDIATEZZA DELLA DIFFUSIONE. Basta un click e l’espressione di odio è on-line, non ci sono barriere all’ingresso, non viene richiesta alcuna competenza, basta poco per diventare “virale”.
- LA PERMANENZA, poiché le parole di odio on-line si diffondono con una potenzialità lesiva permanente. Si pensi alle condivisioni di contenuti o ai Tranding Topics – (argomenti di tendenza) di Twitter. I contenuti difficilmente spariscono dalla rete in maniera definitiva, potendo rivivere in altra piattaforma, con impercettibili modifiche.

In fine, il WEB non ha confini geografici, per cui l’odio on-line è VELOCE, IMMEDIATO, PERMANENTE e GLOBALE, capace di eludere i sistemi di controllo politico-nazionali.
Quali sono le leggi che regolano questi fenomeni? Di recente è stata la volta della Legge n. 71/2017 contro il cyberbullismo, (Legge Ferrara), e la riserva di codice che ha introdotto nel 2018 gli artt. 604 bis e 604 ter, delitti contro l’eguaglianza, il cui contenuto ricalca quello delle leggi precedenti.
Nell’affrontare il complesso tema dell’hate speech occorre opportunamente considerare tutti i diritti fondamentali in gioco che devono trovare un equo bilanciamento, al fine di evitare gli eccessi di una censura preventiva, acriticamente in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero, (art. 21 Cost.).
La libertà di espressione deve essere tutelata anche se odiosa, purché non travalichi i limiti del lecito ed è proprio sull’individuazione di ciò che è ammissibile che si giocherà la partita più delicata, (Cassazione Penale 36906/2015).
A causa delle dimensioni preoccupanti del fenomeno, cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi anni, la sola risposta repressiva non è sufficiente.
Per questo un efficace contrasto all’odio on-line, materializzandosi soprattutto all’interno dei Social Network, non può prescindere dalle politiche delle grandi Companies.
E’ così che la Commissione Europea il 31 maggio 2016 ha annunciato insieme a Google, Facebook, Twitter e Microsoft, la predisposizione del “Codice di Condotta sulle espressioni illegali di odio on-line”, con la creazione di un sottogruppo a livello di UE dedicato alla lotta contro l’hate speech. Aderendo al Codice, i social network contribuiscono all’elaborazione di procedure interne per consentire un intervento volto alla rimozione dei contenuti che incitano all’odio entro 24 ore. La tempestività dell’intervento è fondamentale.
Parallelamente a questi progetti, al di fuori dei rimedi istituzionali, ve ne sono altri, forse ancor più importanti, il cui obiettivo dichiarato è l’alfabetizzazione digitale degli internauti, attraverso formazione ed educazione al web.
Una utile ed alternativa forma di contrasto è oggi rappresentata dal cosiddetto counter speech, che consiste nella risposta diretta ai contenuti di incitamento all’odio, affidata ad altri utenti del web. Il counter speech ha il vantaggio di affrontare le espressioni violente immediatamente e ciascuna nella propria lingua. Insomma, l’odio on-line c’è, ma anche le soluzioni.
Pertanto la prima cosa da sapere è che quasi sempre l’autore di violenza verbale su internet è assolutamente rintracciabile. La polizia postale riesce quasi sempre a risalire ai colpevoli. Pertanto, soprattutto in caso di offese gravi e magari anche continuative, intraprendere provvedimenti di tipo legale è un gesto non solo di autotutela ma anche di grande civiltà. Questo perché se gli autori di hate speech cominciano a pagare sempre più spesso le conseguenze delle proprie offese allora si diffonderà nei cittadini una sana abitudine a non essere violenti. Sicuramente un’educazione alla gentilezza, alla netiquette e al rispetto dei propri interlocutori deve partire dalle famiglie e dalla scuola. Ma anche far pagare chi sbaglia riesce a dare degli ottimi risultati.
Il web non può e non deve restare una zona franca, in cui siamo liberi di offendere chiunque ci capiti a tiro, magari solo perché non la pensa come noi, o magari solo perché non abbiamo fisicamente davanti a noi il nostro interlocutore. Essere dietro a un monitor non è una licenza di offendere e ingiuriare. Il garbo e la buona educazione si devono esigere sempre, anche on line.
Pertanto l’invito è molto semplice: denunciate, denunciate, denunciate. Perché mettendo in mora i colpevoli si contribuisce a diffondere una cultura digitale più civile.