Candidarsi ovunque è inaccettabile

Scorro mestamente in questi giorni le liste di candidati per ogni partito. Quasi dappertutto i capolista sono i leader nazionali che sono praticamente presenti ovunque.

La prima cosa che mi viene da pensare è: ma quanto devono sentirsi deboli questi leaders che hanno bisogno di candidarsi in quasi tutte le circoscrizioni pur di assicurarsi l’elezione?
In secondo luogo questa consuetudine confligge con la rappresentatività territoriale dei candidati. Perché il capolista della Campania non è un campano, quello della Calabria non è un calabrese, quello del Friuli non è un friulano?
Cosa ne sa un piemontese della Basilicata o un toscano della Puglia, un lombardo della Sicilia? Perché adottano alla luce del sole questi trucchetti senza vergogna, senza ritegno?

La rappresentanza territoriale in questo modo viene completamente elusa, raggirata, disattesa.

Per non parlare del mercato delle vacche che si scatena quando i leader devono scegliere il collegio dove essere eletti e quindi far scattare o meno i candidati sotto di loro. Uno stucchevole Sūq in piena regola.

A questo punto meglio fare un listone nazionale di 500 candidati alla camera e 300 senatori per ogni partito e poi a seconda di quanti voti prendono le liste scattano i seggi. Sarebbe almeno più onesto intellettualmente nei confronti degli elettori.
Che poi anche questa discrezionalità di delega scippata agli elettori dai partiti ha un sapore di incostituzionalità nauseabondo.
Ma perché ogni leader di ogni forza politica non si candida solo là dove è radicato?
Come si direbbe qui da noi a meridione: ma una casa (politica ed elettorale) la tenete?
Politicamente ed elettoralmente sembrate tutti degli scappati di casa, altro che autorevoli leader di partito.

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